Charlotte Brontë ha sempre mantenuto vivi i contatti con Margaret Wooler, direttrice della scuola di Roe Head. Nella lettera che segue, oltre a dimostrarsi accorta – seppur non molto ascoltata – economa, mette a confronto l’educazione maschile con quella femminile, e soprattutto si lancia in uno spassionato elogio delle scelte di dignità e indipendenza fatte in gioventù della sua interlocutrice, che adesso, da felice <<donna sola>>, può finalmente godersi i frutti di una vita libera.
A MARGARET WOOLER
30 gennaio 1846,
Haworth
Mia cara signorina Wooler,
[…] ho avuto molte preoccupazioni e adesso vorrei vendere le nostre azioni e scegliere un investimento più sicuro, seppur meno remunerativo; tuttavia non riesco a persuadere le mie sorelle a considerare la questione dal mio punto di vista, e preferisco correre il rischio di subire una perdita economica piuttosto che ferire Emily agendo in contrasto con la sua volontà. È stata lei ad amministrare i miei interessi a Bruxellles e non potevo occuparmi dei miei affari, dunque gliene lascerò la gestione accettandone le conseguenze. È senz’altro una persona vivace e disinteressata, e anche se non è così disponibile e aperta alle mie convinzioni come vorrei bisogna sempre ricordare che la perfezione non rientra fra le caratteristiche dell’essere umano. Finché ci è possibile dobbiamo nutrire di una profonda e incontrollabile stima per le persone che amiamo e alle quali ci sentiamo più vicine, poco importa se a volte ci infastidiscono con idee che ai nostri occhi appaiono irragionevoli e testarde. Lei, cara signora Wooler, conosce bene quanto me il valore dell’affetto tra sorelle, credo che al mondo non esista nulla di comparabile, qualora esse siano quasi coetanee e affini per cultura, gusti e sensibilità. Mi chiede di mio fratello Branwell: non ha intenzione di cercarsi un lavoro e comincio a temere che si stia rendendo inadatto a ricoprire un qualsiasi rispettabile ruolo sociale, e del resto se avesse un po’ di denaro a disposizione lo spederebbe soltanto a suo danno. Ho paura che la sua incapacità di autocontrollo sia pressoché svanita. Mi chiede se secondo me gli uomini non siano essere strani: altroché se lo sono! L’ho pensato spesso, e ho anche pensato che sia altrettanto strano il modo in cui sono educati, dal momento che trovo che non siano abbastanza protetti dalle tentazioni. Le ragazze vengono difese come fossero qualcosa di molto fragile, oltre sciocche, mentre i ragazzi sono lasciati liberi nel mondo come se, tra tutti gli esseri viventi, fossero i più saggi e meno esposti alla corruzione. […] In gioventù, nel fiore degli anni, lei ha lavorato duramente, ha sacrificato ogni piacere, quasi ogni svago, ma adesso è una donna libera, e ha davanti, mi auguro, ancora molti anni di forza e salute durante i quali potrà godersi questa libertà. Ho infine un altro motivo per rallegrarmi, assai egoistico: a quanto pare, dunque, anche “una donna sola” può essere felice, tanto quanto una moglie adorata o una madre orgogliosa. Sono lieta di questo. Ho riflettuto a lungo sulla vita delle donne che non sono sposate né potranno mai esserlo, e sono giunta alla conclusione che non vi sia nulla di più rispettabile sulla terra di una donna che, giorno dopo giorno, costruisca la propria vita con pazienza e tenacia senza il supporto di un marito o di un fratello, e raggiunti i quarantacinque anni o più possieda una mente equilibrata che le consente di apprezzare i piaceri semplici e di avere il coraggio di affrontare le inevitabili difficoltà dell’esistenza, la sensibilità per compatire le sofferenze altrui e la predisposizione ad alleviarle per quanto è nelle sue possibilità. […]
La sua affezionata,
C. Brontë
Una risposta a "Ma la vita è una battaglia"