Notti bianche di Fëdor Dostoevskij

Camminavo e cantavo, perché quando sono felice immancabilmente canticchio qualcosa tra me e me, come qualsiasi altra persona felice che non abbia amici, né buoni conoscenti, né qualcuno con cui dividere la propria gioia nei momenti di gioia.

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Quattro notti e un mattino per raccontare una storia che si muove al buio e nella penombra della coscienza. Le Notti Bianche racconta di una storia d’amore, breve ma intensa di un giovane sognatore, abituato a nutrirsi di sentimenti e impressioni, che vaga per la città in una notte in cui non riesce a dormire e incontra una ragazza piangente e sola, Nasten’ka, che lo smuoverà dalla sua solitudine e sarà l’appiglio verso il concreto mondo diurno. La città di San Pietroburgo saprà cullare nel suo bianco silenzio questa storia a due voci, fatta di confidenze notturne, attese e speranze e, al mattino, rimarrà quello strano sapore in bocca, quella domanda di realtà inevasa: nelle notti bianche qual è il vero confine del sogno?

Io non posso non venire qui domani. Sono un sognatore; ho una vita reale talmente limitata che mi capitano momenti come questo, come adesso, tanto di rado che non posso non ripercorrere questi momenti nei miei sogni. Sognerò di voi l’intera notte, l’intera settimana, tutto l’anno. Verrò immancabilmente qui domani, proprio qui, in questo stesso punto, proprio a quest’ora, e sarò felice ricordando il giorno passato.

La storia di due anime simili, sole e disperate dove la sottilissima linea tra sogno e realtà è quasi impercettibile. Un classico da leggere e, di tanto in tanto, rileggere.


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